Portfolio
Giorni in Birmania è il primo romanzo scritto da George Orwell, aspramente critico verso il colonialismo inglese, pubblicato nel 1934 e frutto della sua esperienza degli anni Venti, quando era arruolato nella Polizia Imperiale Indiana.
Lo Stato ha cambiato nome, diventato Myanmar nel 1989 per imposizione della giunta militare.
Più recentemente, dopo mezzo secolo di regime dispotico e imperscrutabile, il paese sta faticosamente ricercando nuovi equilibri politici ed economici: la stessa leader Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e adorata dalla maggioranza dei connazionali, dal 2017 è duramente biasimata da molte autorità internazionali per l’indifferenza mostrata verso la minoranza etnica mussulmana Rohingya, perseguitata da fazioni buddhiste e dagli stessi militari governativi.
Pur nell’evidente e consumistica attuale diffusione della tecnologia, la visita alle aree birmane accessibili ai turisti è assimilabile a un viaggio che arretra nel tempo: terra disseminata di pagode dorate, cittadine diroccate e villaggi rustici popolati in apparente dignitosa povertà, dove l’agricoltura e ogni lavoro vengono praticati con strumenti primordiali, sorretti da una sorprendente abilità manuale.
Le fotografie, scattate nel 2015, interpretano il territorio e le attività commerciali e lavorative che in alcune zone si sviluppano integralmente su palafitte e sull’acqua, elemento primario per spostamenti e sopravvivenza. Il tema della spiritualità buddhista permea ogni ambito della quotidianità, richiamato dalle infinite architetture di pagode e stupa e testimoniato dalla moltitudine onnipresente delle tonache rosse dei monaci questuanti.